Uno sciopero da far riuscire

Par8292625Chi, a distanza di poco più di una settimana, volesse trovare informazioni sulla manifestazione dei lavoratori di Alitalia e di molte altre aziende del 27 maggio 2017 a Roma capiterebbe, se andasse sul sito di “La Repubblica” Roma dello stesso giorno, su questo breve brano di tale Martina Martelloni:

“Sono scesi in strada a Roma centinaia di lavoratori di diverse aziende in stato di crisi, tra questi anche i dipendenti della compagnia aerea Alitalia che contestano l’attuale precarietà delle condizioni di lavoro ed incertezza per il futuro. «Non ci sembra ci sia una reale volontà di cambiare rotta. Si sta proseguendo con il piano proposto al referendum e che è stato bocciato», ha affermato un lavoratore di Alitalia. Per i dipendenti della compagnia; «la soluzione dovrebbe essere la nazionalizzazione, come si fa a non avere una compagnia di bandiera?», ha affermato uno dei presenti alla manifestazione”.

Peraltro, il brano commenta un filmato nel quale è evidente che la manifestazione è di ben altra consistenza rispetto a quanto affermato. Considerazioni sulla miseria della professione di giornalista a parte, un caso sin troppo evidente di rimozione di un evento che, sia per la sua stessa natura, sia per quanto lo ha preceduto e determinato che, soprattutto, per i possibili sviluppi, ha un’importanza rilevantissima in questa fase.

Torniamo, brevemente, alla manifestazione. Si trattava, dopo gli scioperi dell’Alitalia, e dopo il referendum, di forzare l’orizzonte, di fare un passo in avanti scendendo in piazza non solo nell’aeroporto, terreno in cui la mobilitazione si era già dimostrata forte e vincente, ma nella città, chiamando a raccolta una parte ampia della reale opposizione sociale presente a livello nazionale.

Una scommessa non facile e della quale non era scontato il successo. Per un verso, si trattava di allargare il fronte in almeno due direzioni e, per l’altro, si scontava la contemporaneità inevitabile con la manifestazione di Taormina contro il G7 che inevitabilmente riduceva la possibile presenza di settori di movimento che, se anche non erano a Taormina, su quella manifestazione avevano inevitabilmente concentrato energie.

L’allargamento del fronte, prospettiva sulla quale non sono mancate tensioni, si è realizzato, come si è detto, in due direzioni.

In primo luogo si è coinvolta USB, organizzazione con la quale la CUB in particolare, ma non solo la CUB, ha rapporti difficili a causa di un diverso giudizio sull’accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014 che la CUB non ha firmato pagando un prezzo molto forte in termini di diritti e libertà e che USB, come la Confederazione Cobas ed altri, ha firmato pur di godere di questi stessi diritti e libertà.

E’ stato necessario affrontare un passaggio delicato e, a mio avviso per fortuna, ci si è riusciti distinguendo fra il giudizio su un accordo scellerato e le mobilitazioni a livello aziendale e categoriale su precise piattaforme, rispetto alle quali non ha senso proporre come precondizione per un’azione comune una condivisione della propria prospettiva politico sindacale generale, pena l’inevitabile indebolimento delle mobilitazioni. Casomai, è proprio nel fuoco della lotta che è possibile coinvolgere i lavoratori organizzati in USB e nella Confederazione Cobas, esattamente come quelli che fanno riferimento a CGIL CISL UGL UIL, in una lotta generale contro la legislazione antisciopero, lotta che passa inevitabilmente anche, ed anzi soprattutto, attraverso scioperi che rompano la gabbia di ferro di questa stessa legislazione.

In secondo luogo, e ritengo, se possibile, la cosa ancora più positiva, si è coinvolta, ed ha avuto una presenza importante, un’area articolata di gruppi, comitati, aggregazioni di lavoratori di molte aziende, sia del trasporto che di altri settori del lavoro, che affrontano dure vertenze, crisi aziendali, mobilitazioni.

Questa molteplicità di presenze si è manifestata, all’inizio, nella costituzione di tre spezzoni del corteo, dopo la testa unitaria c’erano prima la CUB, poi USB e infine gli autorganizzati che poi, nel corso della manifestazione, hanno teso, e non mi sembra un male, ad intrecciarsi.

Un corteo numeroso e vivace, costituito, anche per le ragioni suaccennate, essenzialmente di lavoratrici e lavoratori fra i quali spiccavano quelli di Alitalia ma erano presenti molti altri.

Sebbene io sia convinto che cortei e manifestazioni di questa natura siano forti se coinvolgono le lavoratrici ed i lavoratori interessati, e che la presenza di centri sociali, settori studenteschi, gruppi politici possa essere positiva ma non è essenziale, va rilevata come un limite non della lotta ma del movimento dell’opposizione sociale la scarsa presenza di solidali. Direi però che è opportuno affrontare un problema per volta.

Tornando al 27 maggio: soprattutto, un corteo che era effettivamente, e non solo negli intenti dichiarati, un passaggio nella direzione dello sviluppo della lotta come si è visto la stessa domenica con un riuscito sciopero di Alitalia.

Credo sia necessario, a questo punto, rilevare quello che è un effettivo problema, da un punto di vista classista ed internazionalista, che caratterizza questa lotta e cioè l’utilizzo nella mobilitazione di riferimenti forti, sia alla salvezza dell’azienda Alitalia, che a quella del trasporto aereo nazionale. In molti slogan e in molti discorsi, e non era la prima volta, riecheggiava quello di cui chi, come chi scrive, ha, per triste privilegio dell’età, memoria, ricorda come la tipica posizione del PCI rispetto alla “difesa degli interessi del paese”.

D’altro canto, è oggi difficilmente ipotizzabile un salto politico generale di ampi settori di classe nella direzione di un’opzione classista e internazionalista, non solo e non tanto per l’egemonia culturale del vecchio movimento operaio che, nonostante la morte delle organizzazioni che lo costituivano, permane, quanto per la dura realtà della mancanza di una mobilitazione generale dei lavoratori a livello nazionale ed internazionale su obiettivi, quali la riduzione radicale dell’orario di lavoro, tali da dare alle singole lotte prospettive altrettanto generali.

Di conseguenza, come spesso avviene nei conflitti reali, la pratica di massa dei lavoratori sopravanza, e di molto, la consapevolezza che essi hanno dell’ordine dei problemi che si affrontano, e in questo iato possono inserirsi correnti politiche e sindacali neoriformiste se non corporative.

Sembra , insomma, per ora, inevitabile ripercorrere vecchi sentieri e vecchie esperienze come condizione per superarli in una prospettiva nuova e radicale.

Dal nostro punto di vista, si tratta allora di stare dentro la lotta, di valorizzarne le pratiche e le implicazioni radicali, di combattere, e solo stando dentro l’azione di classe lo si può fare evitando il ruolo di grilli parlanti inefficaci e petulanti, le derive verso la chiusura aziendalista. D’altro canto, nella pratica, anche se non in una piena considerazione generale dell’ordine dei problemi che affrontiamo, la presenza di lavoratrici e lavoratori di diverse aziende e comparti è un fatto che si colloca nella prospettiva che va costruita.

Vinta questa scommessa il più resta da fare. Mi riferisco allo sciopero dell’intero settore dei trasporti indetto per il 16 giugno da CUB, Cobas del Lavoro Privato, SGB, SI COBAS, ADLCOBAS, SLAI COBAS, USI-AIT .

Per la prima volta, sciopereranno assieme aeroportuali e ferrovieri, lavoratori della logistica ed autoferrotranvieri, un intero e strategico settore della produzione, e lo faranno con l’effettiva prospettiva di colpire con forza l’avversario.

Particolarmente importante, a mio avviso, è il fatto che lo sciopero coinvolgerà il settore della logistica che tante lotte importanti ha visto in questi anni e in cui è forte la presenza di SI Cobas e di ADL Cobas, anche perché è un segnale di unificazione in avanti del sindacalismo di classe.

Immaginiamo, a questo punto, cosa significherebbe, vorrei dire significherà, una massiccia riuscita dello sciopero del 16 giugno.

Sinora è stato evidente, almeno per chi ha un effettivo interesse al conflitto industriale, che il trasporto è un segmento della fabbrica sociale ove il conflitto è efficace, dove si fa male all’avversario, dove gli si crea danno, ma è anche stato un settore dove la divisione categoriale è, per mille ragioni, inevitabilmente forte.

Di conseguenza, il messaggio politico generale che ne emergeva era, nel migliore dei casi, che si trattava di lotte importanti, magari entusiasmanti, ma “particolari”, non riproducibili e, nel peggiore, che si trattava di lotte corporative in alcuni casi e di settori marginali in altri.

Ma se andremo, e dovremo lavorare pancia a terra per andarci, oltre le aziende e le singole categorie, il messaggio sarà altro, sarà che si può ribaltare il tavolo, sarà che il monopolio dei diritti da parte di CGIL CISL UIL è una tigre di carta, sarà che un movimento indipendente e di base dei lavoratori è possibile oltre il settore del trasporto.

Nello stesso tempo, questo salto in avanti smuove lo stesso sindacalismo di base, ne fa saltare le incrostazioni burocratiche, le pigrizie mentali, l’adagiarsi nel trantran quotidiano che spesso, troppo spesso, rileviamo, mette alla prova le organizzazioni attualmente esistenti, rende conto di quanto siano vere e serie le affermazioni che si fanno, ripropone la vecchia, e però sempre attuale, questione del superamento di divisioni che non sempre hanno ragion d’essere.

In questi giorni vi sarà molto da fare, soprattutto nelle aziende e sul territorio, si tratterà poi di valutare il lavoro svolto, per un verso, e lo stato del movimento per l’altro.

Un compito importante, finalmente, aggiungo, dopo anni di galleggiamento, un compito importante.

Cosimo Scarinzi

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